COME TRUMP HA SMONTATO L’EUROPA CON LA PROSSEMICA E UN CAPPELLINO

I nostri aulici giornalisti della propaganda anti russa, quelli che per tre anni ci hanno cullato con favole su pale come uniche armi di un esercito russo allo sbando, microchip smontati dagli elettrodomestici ucraini poiché l’economia russa era al tappeto in virtù delle sanzioni dirompenti, oggi ci propinano un nuovo cartoon.

Quello degli Avengers europei, compatti e trionfanti, uniti nel compito di spiegare a Trump “come va il mondo”.

Lo so, fa cadere dalla sedia dal ridere, ma è questa la narrazione dei russofobi, che ci propinano l’ennesima balla colossale. Ridicola quanto le loro precedenti previsioni fallite.

D’altro canto, chi ha toppato ieri è difficile che ne azzecchi qualcuna domani, perciò, il consiglio è di seguire solo chi ha sempre formulato analisi dimostrate dal tempo.

La verità, che i loro occhi non sanno, o non vogliono, vedere, non emerge dalle dichiarazioni ufficiali, ma, come sempre, dalla grammatica del potere non verbale.

Quello che si è consumato alla Casa Bianca non è stato un vertice, ma un caso studio di dominanza comunicativa.

Al di là delle chiacchiere da bar, al di là della retorica bellicista e guerrafondaia di certe testate, l’incontro tra Donald Trump e i supplicanti europei, con il povero Zelensky come trofeo vivente, è un manuale pronto per essere studiato.

Un trattato di sociologia politica vissuto in diretta, con esiti impietosi per l’Europa.

I leader europei sono usciti da quel bunker mediatico non solo a mani vuote, ma fortemente ridimensionati almeno per tre cardini su cui gli esperti di comunicazione della Casa Bianca hanno costruito la loro umiliazione.

1. LA GEOMETRIA DELLA SOTTOMISSIONE: CHI STA DIETRO LA CATTEDRA, COMANDA.

La foto di gruppo nello Studio Ovale è un’icona senza tempo di sottomissione gerarchica.

Trump, saldo, immobile, dietro la sua scrivania. Quel mobile non è un oggetto d’arredo, ma è un archetipico simbolo del potere. La cattedra del professore, il banco del giudice, il trono del monarca. Da lì si ordina, si giudica, si amministra.

Di fronte, su sedie allineate come in una festicciola di partito, i leader europei, tutti in posizione di ascolto, di attesa. Di supplica.

L’asimmetria visiva è voluta, calcolata, chirurgica, e il messaggio è chiaro: per equiparare un leader USA, servono sette leader europei.

Non è soltanto una dimostrazione di forza, ma è la fotografia della frammentazione e dell’irrilevanza politica di un continente. Un’ammissione di debolezza strutturale, veicolata da una semplice disposizione degli spazi e della prossemica.

2. LA REGIA DELL’ATTENZIONE: CHI CONTROLLA LA NARRATIVA, È IL PADRONE

La mossa più geniale, da manuale di comunicazione strategica, è stata l’incontro esclusivo con Zelensky, mentre gli altri erano parcheggiati in un’altra stanza. Come valigie.

Questa non è scortesia, ma è il linguaggio del potere nella sua forma più pura.

Trump ha stabilito, in mondovisione, chi fosse il protagonista della storia e chi le semplici comparse.

A lui interessava Zelensky, per impartirgli “idee” su come chiedere 90/100 miliardi all’Europa per acquistare armi americane che il vecchio amico Donald non vede l’ora di vendergli.

Il presidente americano ha controllato il flusso mediatico dall’istante zero. Fin da quando i leader europei sono stati accolti fuori dalla Casa Bianca dal suo staff, mentre lui era all’interno. Come fa un medico con gli informatori.

Ha dettato l’agenda, ha scelto il testimone privilegiato, Zelensky, utile pupazzo della narrazione bellicista, ha relegato i “colleghi” europei a ruoli di accompagnatori che hanno atteso il suo permesso per parlare.

Sono stati reificati, trasformati in oggetti della scena in cui lui è stato l’unico protagonista.

3. IL RITO DELLA DOMINANZA: I CAPPELLINI E L’INFANTILIZZAZIONE DELL’AVVERSARIO

L’immagine più rivelatrice, quella che i giornalisti superficiali hanno bollato come “spacconata”, è quella dei cappellini. Una geniale comunicazione.

Costringere i tuoi ospiti, in un contesto di massima formalità geopolitica, a osservare la tua collezione di gadget personali non è da “bullo”.

È molto, molto più sottile. È un rito di sottomissione. È forzare interlocutori che dovrebbero essere pari a ricoprire un ruolo infantile. Un po’ come quando, durante una cena, mostri i giocattoli che usava tuo figlio ai bimbi di tuoi ospiti.

È il padre che mostra i suoi trofei ai figli. È il gesto che rompe ogni parvenza di parità e stabilisce una relazione di tipo paternalistico, quando non apertamente dominante.

E già all’arrivo, la partita era segnata. Nessun picchetto d’onore. Nessuna presenza fuori dalla Casa Bianca, nessun abbraccio come in Alaska.

Trump ha dimostrato, senza proferir parola, il valore differenziale che attribuisce a Macron, Scholz & C. rispetto a un vero interlocutore come Putin. Per gli europei, non si scomoda neppure a uscire dalla Casa Bianca. Per Putin è volato in Alaska.

E questi sono fatti, non opinioni.

LA MENZOGNA VERBALE E LA VERITÀ DEGLI INDICALI CHE SPIEGANO PERCHÉ L’EUROPA HA GIÀ PERSO

La geopolitica matura non si fa ascoltando le dichiarazioni.

I leader mentono. Sempre.

La verità sta nei segni indicali, quelli che non possono mentire: la gestione dello spazio, la prossemica, la cronemica, l’abbigliamento. Elementi che definiscono l’esito di una relazione ancor prima che si apra la bocca.

E ciò che abbiamo visto alla Casa Bianca dice una cosa semplice e terribile: l’Europa ha perso.

Ha perso credibilità, autonomia, la propria sovranità in cambio di una promessa di protezione da un alleato volatile che la considera, nel migliore dei casi, un fastidioso vassallo.

Sono andati lì per sostenere Zelensky, la cui fragile democrazia, infarcita dell’ideologia nazista di Bandera, attacca oleodotti e mente spudoratamente.

I leader si sono incontrati prima all’ambasciata ucraina per elaborare una strategia comune per pugnalare Trump alle spalle, per convincerlo a respingere qualsiasi accordo di pace con Putin.

Perché a loro della pace non importa nulla, da quanto rivelano le loro azioni di questi anni. L’incontro a Washington non ci sarebbe stato senza Trump. E lo dimostra il fatto che gli europei hanno avuto tre anni per sedersi intorno a un tavolo, ma non lo hanno mai fatto.

Perché non ha nessuna intenzione di ascoltare le ragioni della Russia, ma punta sempre e solo alla favolistica vittoria ucraina con il ritiro totale di Mosca.

Una pretesa da “Scemo e più Scemo” o da dilettanti di geopolitica.

L’UE, è ben lontana dall’idea di un’unione di popoli e somiglia sempre più a un mostro burocratico nato male, che crollerà economicamente anche senza una guerra per procura che indebolisca la Russia. (Vedi politiche green che stanno uccidendo l’automotive e lavorando a favore della Cina).

I leader europei si sono incastrati nel disastro ucraino, convinti che Mosca sarebbe capitolata in pochi mesi. E ora, puntano tutto sulla possibilità di trasformare l’Ucraina in una grande fabbrica per prodotti militari USA a basso costo.

100 miliardi per finanziare l’operazione, ovviamente a debito degli europei, che promettono soldi che non hanno, per acquistare armi che ancora non sono state prodotte, per mandare altri giovani ucraini a farsi ammazzare al fronte. Giovani che l’Ucraina comincia a non avere più.

Allora, la loro prospettiva coinvolge anche i giovani europei.

Perché i leader che Trump ha trattato come studenti in visita alla Casa Bianca stanno giocando con miliardi di vite per un progetto politico fallito.

La NATO propaganda una Russia debole perché i nostri leader credono che la guerra non arriverà mai a casa loro, che Putin non premerà mai il pulsante rosso dei missili nucleari.

Sono talmente irrilevanti da non capire che quando si ha a che fare con la distruzione totale della propria nazione, qualsiasi pulsante è buono da premere.

E se Putin si trovasse mai davvero in difficoltà, da dittatore qual è, da mandante degli omicidi di molti oppositori e giornalisti, -cosa che scrivevo quando c’era la fila di politici e giornalisti italiani per un selfie con lo zar- non esiterebbe a schiacciare pulsanti per inviare atomiche su Roma, Parigi o Berlino.

Solo su Washington avrebbe qualche esitazione, così come l’avrebbe il presidente USA con Mosca, perché entrambi sanno bene che sarebbe la fine del mondo.

Negli europei non c’è alcuna intenzione di pace che non sia la sconfitta della Russia e la vittoria dell’Ucraina, situazione da film di fantascienza.

Questi non sono leader alla guida di popoli, ma traditori di quei popoli che in ogni elezione degli ultimi anni hanno fatto vincere schieramenti contrari alla guerra.

Sono guerrafondai in doppiopetto e tailleur che si sono recati a Washington per assicurarsi una sola cosa: la Terza Guerra Mondiale.

Non ne fanno mistero. Basta ascoltare le minacce di Macron e von der Leyen e osservare i piani di riarmo. Basta scrutare la loro mimica facciale, dove non c’è mai vera distensione.

E Trump, che pure ha parlato di pace “a lungo termine”, lo sa benissimo.

Li ha lasciati parlare, li ha adulati con complimenti da Zelig, ha elogiato persino Ursula per l’accordo sui dazi e lei era felice, li ha fatti sedere come scolari, li ha fatti aspettare e li ha intrattenuti con i suoi cappellini.

Come bambini che dicono sciocchezze alle quali sorridi, mostri un giocattolo, poi, quando gli ospiti se ne vanno, torni alla tua vita da adulto.

Perché quando la comunicazione non verbale è così chiara, le parole sono solo rumore di fondo.

E qui è evidente il rumore di fondo di un’Europa che, ancora una volta, ha scelto di non essere l’attore protagonista, ma il cattivo. Una pedina molto, molto sacrificabile.

Perché si sa, il cattivo è astuto e spesso sfugge al bene e riesce a farla franca. Tuttavia, alla fine del film, il cattivo perde sempre.

L’Europa ha scelto di contare come il nulla cosmico e/o di recitare ancora per un po’ il ruolo del cattivo, al di là della propaganda russofoba.

Ma anche per stabilire questo, bisognerà attendere cosa decideranno Trump e Putin, gli unici che abbiano davvero in mano le carte del gioco.

Soprattutto il dittatore russo, che non ha nessuna necessità urgente di cessare una guerra che sta vincendo e che non può perdere.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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