La comunicazione di Donald Trump viene spesso liquidata come rozza, caotica e incoerente e molti giornalisti lo liquidano come incapace proprio in virtù di quelle che, a occhi inesperti, sembrano sparate di un irresponsabile.
A detta di tanti critici, quella di Trump non sarebbe nemmeno comunicazione, ma un flusso di coscienza da bar sport.
Eppure, dietro questo apparente disordine, si nasconde una macchina calcolatrice di precisione chirurgica, cinica e tremendamente competente.
Al centro di tutto c’è Steven Cheung, soprannominato “la bestia”, un architetto della polarizzazione che ha trasformato il caos in un’arma sistematica.
Perciò, ciò che appare come incompetenza è, in realtà, il frutto di una strategia comunicativa rivoluzionaria. E inquietante.
DAL RING DELL’UFC ALLA CASA BIANCA: L’ASCESA DI UN GLADIATORE DIGITALE
Nato a Sacramento nel 1982 da genitori immigrati cinesi, Cheung incarna il sogno americano distorto dall’era dei social media.
Non è chiaro se abbia un titolo accademico, ma ha studiato informatica, ingegneria e scienze politiche alla California State University.
Ha iniziato come stagista per Arnold Schwarzenegger, studiando comunicazione e cimentandosi in questo campo con approcci algoritmici, nel culto della forza mediatica.
Poi, la svolta: nel 2013 entra nell’Ultimate Fighting Championship (UFC), dove le sue strategie comunicative si evolvono.
Tra ring e sanguinamenti, assorbe la filosofia del combattimento senza regole, per cui attaccare prima, colpire forte, annichilire l’avversario sono le uniche regole che funzionano.

Quando nel 2016 Trump, appassionato di MMA, lo chiama alla campagna presidenziale, Cheung porta con sé quel manuale tattico e trasforma la comunicazione politica in uno spettacolo permanente.
LA STRATEGIA DELLA “BESTIA”: QUATTRO ARTIGLI PER DOMINARE L’INFOSFERA
Cheung non è un comunicatore professionista, nel senso canonico del termine, e sopperisce alla mancanza di cultura psicologica, semiotica, sociologica con ciò che ha appreso nel mondo dei combattimenti: pugni, sangue, violenza. Inoltre, si è fatto le ossa come guerrafondaio digitale.
Il suo stile è quello di un dinosauro pronto a spaccare tutto, che rifiuta il piano del ragionamento e della dialettica perché non lo conosce. La sua è una comunicazione rozza, dozzinale, perché deriva dal piano della lotta, ma è un approccio che, con un determinato tipo di elettorato e in certi contesti, funziona.
Nel caso specifico delle elezioni americane, a onore del vero, vanno ricordati anche i grandi errori dell’Amministrazione Biden, che hanno scontentato molti americani, primi fra tutti la politica guerrafondaia e il fallimento sull’immigrazione.
L’ARTE DELL’AGGRESSIONE PERPETUA
Cheung applica tattiche da UFC e non gioca mai d’attesa. La sua strategia si fonda su pochi, semplici pilastri: identificare il punto debole dell’avversario e colpire con ferocia moltiplicata dai social. Proprio come agisce uno spaccaossa da risse.
Nel 2016, trasformò ogni critica a Trump in un meme.
Quando i media attaccavano Trump per una dichiarazione volgare, Cheung replicava in 30 secondi su Twitter con un video che accusava Hillary Clinton di corruzione.
Non importava la verità, ma solo la velocità del contrattacco. Una logica da ring, dell’occhio per occhio, dove chi sanguina per primo, perde consenso.
DISINFORMAZIONE COME ARMAMENTO PESANTE
Le fake news non sono un effetto collaterale, ma il cuore del suo sistema.
Cheung ha istituzionalizzato la “factory delle menzogne”: dalle bufale sulla cittadinanza di Obama ai brrogli del 2020.
Perché funziona?
Nella sociologia dei media digitali, la post-verità non si combatte con i fact-checker, ma con l’inondazione.
Cheung sfrutta abilmente anche la perdita di fiducia che l’Occidente ha maturato nei confronti dei servizi di fact-checking, in virtù delle vere e proprie censure attuate nei confronti di pareri che erano veri e sacrosanti, ma che avevano il solo difetto di non sposare il pensiero unico, come confessato dal CEO di Meta, Zuckerberg.
Cheung crea 100 narrazioni false? Beh, se 99 vengono smontate, una sopravvive e diventa dogma per la base. È la teoria del caos applicata al consenso.
LA MOBILITAZIONE DELLA TRIBÙ
La polarizzazione non è un rischio, ma il suo unico obiettivo strategico.
Trump non può reggere il confronto dialettico con un politico di professione, poiché non è un politico, ma un imprenditore cinico. Cheung lo sa e conforma la sua strategia comunicativa su queste basi.
Cheung usa un principio neuroscientifico per cui il cervello umano reagisce alla paura e al conflitto 5 volte più che all’entusiasmo.
Ogni suo attacco ai “media corrotti” o alle “élite globaliste” trasforma i follower in soldati pronti a difendere quelle tesi come una patria.
Quando nel 2024 twittò “THE MEDIA ARE THE ENEMY OF THE PEOPLE”, non era un errore di valutazione, ma una strategia potentissima. Era una chiamata alle armi.
I dati parlano chiaro: durante quel periodo, le donazioni alla campagna Trump aumentarono addirittura del 40%.
IL DOMINIO DEL TERRITORIO SOCIAL
Come Direttore Comunicazioni della Casa Bianca dal 2025, Cheung ha fatto dei social il campo di battaglia esclusivo. Bandito il tradizionale press briefing, ha introdotto al suo posto tweet, video TikTok montati come trailer di guerra, post su Truth Social, con hashtag #FightLikeABeast.
Grazie a questa strategia, gli avversari sono sempre in affanno e costretti a inseguire Trump, per è la comunicazione del tycoon a dettare le regole e i flussi narrativi. Ogni notizia passa dal suo filtro combattivo. È la fine del taglio giornalistico, perché ora è l’algoritmo è il nuovo editor.
L’EREDITÀ SOCIOLOGICA: QUANDO LA DEMOCRAZIA DIVENTA UNA BATTAGLIA GLADIATORIA
Cheung ha vinto. Le opposizioni, in questo momento, sono in totale balia delle sue strategie e non riescono neppure a scalfire minimamente l’immagine del presidente, nonostante campagne di propaganda abnormi.
Ma a quale costo vince?
La sua “bestialità” comunicativa è un caso studio perfetto per la sociologia della post-verità, poiché dimostra tre verità scomode.
- La coerenza è morta. Nel mondo digitale, il rumore costante batte la verità.
- L’aggressione paga. Il suo stile da UFC ha generato 28 miliardi di impression social per Trump solo nel 2024 (fonte: Campaign Tech Report).
- Siamo tutti reduci di guerra. Ogni cittadino è stato arruolato, suo malgrado, in un conflitto narrativo senza prigionieri.
Eppure, dietro “la bestia” c’è un uomo. Un figlio di immigrati che ha scelto di usare il suo talento per demolire ponti invece che costruirli.
Un genio comunicativo che ha venduto l’anima all’audience, agli algoritmi, alle strategie per demolire l’avversario e non per confrontarsi.
Ovviamente, questo è un articolo sulla comunicazione di Trump, scritto in modo tale che anche chi è digiuno di semiotica e psicologia possa comprendere le strategie che muovono Trump.
Perciò, la prossima volta che qualcuno scrive che Trump è incompetente perché comunica come al bar, sappiate che dietro ci sono strategie volutamente rozze e ciniche.
Strategie che costringono gli interlocutori a rincorrere Trump, come sui dazi, sull’aumento delle spese militari o sulla politica internazionale.
Quanto alle sue scelte politiche, nella fattispecie, ci sarebbe molto da dire, nel bene e nel male, sull’Iran, su Israele, sui dazi, sull’immigrazione, e mi riserbo di scriverne prossimamente, sempre in maniera distaccata e senza fare campagna elettorale perenne, come, invece, fanno molti giornalisti di casa nostra.
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