L’arte digitale trasforma musei in metaversi e pennelli in algoritmi, eppure, in Italia, resta spesso relegata ai margini del dibattito culturale. Un paradosso stridente per il paese di Leonardo, dove l’innovazione estetica dovrebbe essere linfa vitale.
LA RESISTENZA DEI PITTORI TRADIZIONALI: UN ANALFABETISMO EMOTIVO?
«Non è vera arte», dichiarano molti maestri della pittura.
La loro obiezione è data dalla presunta assenza di un gesto fisico, l’effimero della creazione su schermo, ma è chiaro come vi sia un equivoco, perché confondono il mezzo con l’essenza, cioè confondono l’arte con l’atto fisico del dipingere. E non è affatto così.
L’arte non nasce dalla tela o dal mouse, ma dall’intenzione umana che dà forma al caos e, soprattutto, esiste nel momento in cui vi è un messaggio veicolato.
Non si può definire artista un ritrattista che puoi trovare in Piazza Duomo a Milano il sabato pomeriggio. Eppure si tratta di talenti con delle reflex al posto delle mani. Ma quella non è arte. È tecnica, spesso sopraffina, ma niente di più.
Non c’è nessuna possibilità di paragone tra un ritratto di Piazza Duomo e un Picasso, nonostante la perfezione tecnica del ritratto. Ma non ci sarebbe alcun paragone nemmeno con un Basquiat o con un Pollock. Perché il ritratto non dice niente, se non al committente, mentre un’opera d’arte è tale per il messaggio che veicola, per i concetti filosofici che affronta, per le domande esistenziali che suscita.
Banksy, con la sua arte distrutta dopo la vendita, ci ha insegnato che il valore non sta nemmeno nel supporto.
Perché, allora, rifiutiamo opere digitali che sfidano la percezione, come quelle di Refik Anadol, dove i dati diventano sinfonie visive?
È vero, non ci sono spatole e pennelli. Ma, allora, è come dire che David Garret non è un artista poiché non usa oli e acrilici, ma striscia un arco sulle corde del violino.
L’arte è lo spessore del prodotto finale, non i mezzi e le tecniche utilizzate.
LA GRANDE BUGIA: “TUTTA L’ARTE DIGITALE È COMMERCIALE E VUOTA”
Sì, esistono NFT banali e filtri Instagram spacciati per avanguardie. Ma questo accade ovunque: quanti quadri decorativi invadono le gallerie senza dire nulla? Quanti pittori domenicali non sono artisti?
La vera arte digitale italiana, pensate a Quayola o ad Andrea Mastrovito, gioca con il colore con maestria rinascimentale e riesce a stratificare simboli, per cui un pixel può essere più carico di significato di un’intera tela barocca.
I NUMERI CHE L’ITALIA IGNORA (A SUO DANNO)
Secondo diverse previsioni, il mercato globale dell’arte digitale varrà oltre 20 miliardi di dollari entro il 2030.
Musei come il MoMA e il Louvre dedicano mostre permanenti al digitale dal 2015. Dieci anni fa, mentre noi ancora perdiamo tempo a stabilire se quella digitale sia arte vera oppure no.
In Italia? Solo il 12% delle fondazioni artistiche investe in digital art (Rapporto Censis 2023).
LA RADICE DEL PROBLEMA: UNA SOCIOLOGIA DELLA PAURA
Il rifiuto italiano è sintomo di un trauma culturale più profondo. La nostra identità si aggrappa al passato come a una zattera. Temiamo che il digitale cancelli la genuinità dell’esperienza artistica, ma ci dimentichiamo che Caravaggio scandalizzò i suoi contemporanei con il realismo crudo. Oggi i “caravaggeschi digitali” subiscono la stessa condanna.
È ansia da sostituzione, perché crediamo che i pixel uccideranno la materia. Ma l’arte è un ecosistema in cui il nuovo non distrugge il vecchio, ma trasforma, innova, aggiunge.
COME ABBRACCIARE LA RIVOLUZIONE: QUATTRO PASSI URGENTI
EDUCAZIONE NELLE ACCADEMIE
Insegnare storia dell’arte digitale come si fa per il Rinascimento.
POLITICHE MUSEALI CORAGGIOSE
Il MAD di Milano deve diventare la nostra arca del futuro, non un esperimento.
DIALOGO GENERAZIONALE
Coinvolgere i pittori tradizionali in collaborazioni ibride, in un affresco che dialoghi con la realtà aumentata.
PATROCINI TRASVERSALI
Coinvolgere le aziende tech italiane in residenze artistiche: l’artigianato digitale come nuovo made in Italy.
LA SFIDA FINALE: RIDEFINIRE COSA SIGNIFICA “UMANO” E COSA ARTE
L’arte digitale non è fredda, ma è l’urlo di una generazione che vive sospesa tra atomi e bit, è un modo per domandarci dove finisca la natura e dove inizi la tecnologia.
Rifiutare questo dialogo significa imbalsamare la cultura italiana, nonostante siamo il Paese che ha rivoluzionato il mondo con prospettive artistiche innovative, durante il Rinascimento.
Dobbiamo scegliere se essere custodi di un museo dell’antiquariato o architetti di nuovi universi sensoriali aperti al futuro.
Il futuro dell’arte non si cancella con un clic. Si costruisce con la volontà di vedere oltre il visibile.