LA MUSICA TRA COGNIZIONE E CULTURA: UN DIALOGO TRA ETERNITÀ ED EFFIMERO

La musica non è solo suono. È il respiro dell’umanità, un linguaggio che precede le parole e sopravvive alle epoche.

Mentre le note di Beethoven risuonano ancora nei teatri, i brani commerciali che dominavano le classifiche due anni fa sembrano già reliquie dimenticate.

Perché? La risposta non sta solo nelle note, ma in come il nostro cervello le assorbe, le trasforma in emozioni, e le lega alla nostra identità.

La musica classica resiste perché parla alla nostra biologia, alla nostra mente antica. Quella commerciale, invece, è un riflesso delle nostre pulsioni più fugaci, schiava di un presente che non sa più diventare memoria.

LA MUSICA CLASSICA E L’ARCHITETTURA DELL’ANIMA

Immaginate un violino che disegna nell’aria una melodia di Bach. Ogni nota è un mattone di un edificio invisibile, costruito secondo proporzioni matematiche che il cervello riconosce come casa.

Studi di neuroscienza rivelano che le sinfonie classiche attivano la corteccia prefrontale, regione dell’astrazione, e l’ippocampo, custode dei ricordi. Non è magia, ma biologia.

Le progressioni armoniche di Mozart seguono schemi vicini alla sezione aurea, una geometria che l’occhio umano trova armonica senza sapere perché.

Qui non si tratta di gusto, ma di risonanza. Quando ascoltiamo il Requiem di Verdi, il sistema limbico si accende come un cielo stellato, rilasciando dopamina e cortisolo in un equilibrio tra dolore e piacere.

È un’esperienza che chiede partecipazione, non passività. La complessità strutturale costringe il cervello a cercare connessioni, a costruire significati. Ogni ascolto è una nuova scoperta, un dialogo tra l’opera e chi la vive.

LA MUSICA COMMERCIALE: UN FUOCO D’ARTIFICIO NELLA NOTTE

Ora pensate a un ritmo trap: battiti precisi, parole ripetute, una ripetizione che si insinua come un mantra.

È musica progettata per agganciare, non per durare. Il cervello la processa come uno zuccherino: la dopamina schizza, ma svanisce in fretta. È il principio della gratificazione immediata, lo stesso che ci fa scrollare Instagram per ore.

I brani commerciali sfruttano pattern semplici e ripetizioni ossessive, creando una dipendenza che si esaurisce con l’abitudine.

Le mode musicali sono specchi della società: riflettono ansie, desideri, ribellioni di un’epoca. Ma quando quel contesto cambia, i brani perdono senso.

Un successo pop degli anni ’90 oggi suona naif, come un abito fuori stagione. La musica commerciale è un prodotto, non un’opera: nasce per essere consumata, non per diventare eredità.

LA CLASSICA SOPRAVVIVE PERCHÉ È FATTA DI NOI

La Nona Sinfonia di Beethoven non invecchia perché non appartiene al Settecento: appartiene all’uomo.

Utilizza dissonanze che imitano il caos interiore, risoluzioni che ricordano la pace dopo la tempesta. È un viaggio nell’anatomia delle emozioni, capace di commuovere un adolescente del 2024 come un nobile ottocentesco.

La musica classica è un ponte tra culture perché parla un linguaggio pre-verbale, fatto di tensioni e rilasci che tutti riconosciamo. Anche chi non conosce la teoria musicale sente istintivamente la “giustezza” di un accordo di Bach, come riconosce il volto di una madre.

LA MUSICA È IL DIARIO BIOLOGICO DELL’UMANITÀ

La musica classica resiste perché non è artefatto, ma specchio. Riflette schemi neurali condivisi, bisogni ancestrali: ordine, bellezza, catarsi.

La commerciale, invece, è un selfie: cattura un attimo, ma non mette radici.

In un mondo dominato dal rumore, la musica classica ci ricorda chi siamo. È una carezza per il cervello, un promemoria che la vera bellezza non segue le mode: al più le ignora.

Perché, mentre i trend nascono e muoiono, il nostro cervello resta lo stesso. E in quel cervello, da millenni, risuonano le stesse note.

Ribellione contro il temporaneo, contro l’usa-e-getta. Questo è oggi l’ascolto della musica classica.

È scegliere di nutrirsi di complessità in un’epoca di semplificazioni. È abbracciare la propria umanità, fragile ed eterna, senza svendersi alle logiche delle mode del tutto e subito e del consumo compulsivo.

Perché quelle note non sono solo musica: sono la stessa sostanza dell’esistenza umana.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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