CENSURA E CANCEL CULTURE: L’ARTISTA DEVE ESSERE LIBERO O RESPONSABILE?

Immagine di copertina dell'articolo di Pasquale Di Matteo,per Tamago "L’ARTE TRA LIBERTÀ E RESPONSABILITÀ, UN DILEMMA ANTICO COME L’UMANITÀ"
Censura o cancel culture? L'artista deve essere libero o responsabile? Un'analisi sociologica sul futuro dell'arte tra libertà creativa, etica e impatto sociale.

di Pasquale Di Matteo

L’ARTE TRA LIBERTÀ E RESPONSABILITÀ, UN DILEMMA ANTICO COME L’UMANITÀ

L’arte è un grido nel vuoto che cerca un’eco. O, almeno, è ciò che dovrebbe essere.

Un atto di ribellione, una preghiera, una ferita aperta, non un abbellimento.

Da Socrate, costretto a bere la cicuta, alle statue romane sbriciolate nella damnatio memoriae; dalla censura religiosa del Medioevo, alla rimozione di film “scomodi” nel Novecento, la storia ha molte pagine che sono cimiteri di voci messe a tacere.

Oggi, quel silenzio ha un nome nuovo: cancel culture.

Un termine che divide, accende dibattiti, spacca il mondo in chi vede giustizia e chi urla alla censura.

Ma sotto la superficie, la domanda è sempre la stessa: l’artista deve rispondere alla società o alla propria coscienza?

L’ARTE COME SPAZIO DI CONFLITTO: QUANDO LA BELLEZZA SFIDA IL POTERE

L’Origine du Monde di Courbet, un corpo femminile senza veli, fu sepolto nel pudore dell’Ottocento. Egon Schiele, con i suoi nudi contorti, finì in cella.

Caravaggio, che dipingeva santi con i piedi sporchi e prostitute come madonne, fu bollato come blasfemo.

L’arte ha sempre sfidato i confini del lecito, trasformando la tela in un campo di battaglia. Ma oggi non sono più solo i tribunali o le chiese a giudicare, ma anche il pubblico, armato di tastiere, hashtag e like, a decidere cosa può esistere.

CANCEL CULTURE: GIUSTIZIA O CENSURA? IL DOPPIO VOLTO DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE

Nel 2016, Dana Schutz dipinse Open Casket, ritraendo il volto sfigurato di Emmett Till, adolescente nero ucciso nel 1955.

L’opera fece scalpore: chi la difese, considerandola denuncia, chi la condannò come furto di dolore.

L’artista bianca, si disse, non aveva diritto a quel racconto.

Perché? A oggi non si registrano risposte che denotino la sanità mentale dei formulanti.

La mostra fu presidiata, il dibattito divampò.

Perché la cancel culture è così, un tribunale senza avvocati, dove l’indignazione diventa virale e il verdetto è immediato. È giustizia per chi non ha avuto voce, ma, spesso, diventa una ghigliottina che taglia senza appello.

Chi traccia il confine tra sensibilità e censura? Chi decide cosa può ferire e cosa può guarire?

LIBERTÀ ARTISTICA E RESPONSABILITÀ SOCIALE: UN EQUILIBRIO POSSIBILE?

L’artista vero è un esploratore dell’invisibile.

Deve poter camminare sull’orlo del vulcano, sfidare tabù, mostrare ciò per cui gli altri distolgono lo sguardo.

Tuttavia, in un mondo iperconnesso, ogni opera è un sasso nello stagno che forma increspature che arrivano ovunque.

Ignorare l’impatto sociale di un’opera significa negare il potere stesso dell’arte, relegandola al ruolo marginale di accessorio.

L’artista non è un dio distaccato, ma parte di una rete di sguardi, ferite, memorie, mentre la provocazione fine a se stessa diventa mero rumore.

IL FUTURO DELL’ARTE NELL’ERA DELLA SENSIBILITÀ GLOBALE: DIALOGO O DISTRUZIONE?

La cancel culture non è un mostro da abbattere o un angelo da adorare, ma uno specchio che riflette una società che chiede conto, che non accetta più di essere spettatrice.

Ma quando la condanna sostituisce il dialogo, quando la censura soffoca l’espressione di ogni punto di vista, l’arte muore.

Perché, per far vivere l’arte – e anche una società equa, giusta e democratica – servono ponti, non muri.

Bisogna contestualizzare, non cancellare. Spiegare perché un’opera ferisce e di cosa parla. Non bruciarla. L’arte deve inquietare, ma anche ascoltare. Deve essere un pugno nello stomaco, ma anche una mano tesa.

COSA VOGLIAMO SALVARE? IL DIRITTO DI FERIRE O IL DOVERE DI COMPRENDERE?

Il dilemma non è tra libertà e responsabilità, bensì tra paura e coraggio. Tra una società che cancella ciò che la turba e una che si sporca le mani nel confronto, per creare inclusione, sinergia e maturità.

L’arte non è un poster rassicurante, ma un urlo, una domanda che mette in discussione ogni cosa.

Se la riduciamo a un campo minato, dove ogni passo sbagliato fa esplodere una carriera, in virtù di schemi, preconcetti e barriere imposta da non si sa bene chi e per quale ragione, tradiamo la sua essenza.

L’artista deve essere libero di cadere, di sbagliare, di provocare. Il pubblico deve essere libero di criticare, di contestare, di piangere.

Ma insieme, devono trovare il coraggio di parlarsi. Perché l’arte, in fondo, è l’unico linguaggio che ci ricorda cosa significhi essere umani: imperfetti, contraddittori, pensatori, critici, vivi.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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